Adriano Bonafede
Per le compagnie l’Italia è il paese del Bengodi. Da quasi vent’anni, da quando è cominciata la liberalizzazione, le tariffe dell’Rc auto crescono a ritmi insostenibili. Più che in qualsiasi altro Stato europeo e adesso costano più del doppio rispetto alla Francia e l’80 per cento in più che in Germania. F orse bisognerebbe farsi un po’ più di pubblicità all’estero. L’Italia non cerca disperatamente investitori stranieri? Bene, sarebbe proprio il caso di raccontare in giro per il mondo che nel Bel Paese c’è un settore economico di sicura redditività, dove i prezzi di vendita – a dispetto della profonda crisi che fa fallire a catena le imprese e riduce al lumicino i consumi delle famiglie – crescono sempre da quasi vent’anni garantendo positivi ritorni agli imprenditori avveduti. Il comparto, quello dell’assicurazione Rc auto, rappresenta in Italia quasi il 50 per cento dei rami danni che sono stati pari a circa 36 miliardi nel 2012. I numeri che mostrano l’anomalia italiana sono stati snocciolati la settimana scorsa da Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, che nella sua relazione annuale ha osservato sconsolato che da noi gli automobilisti pagano un premio netto che è più del doppio di quello francese e portoghese, è superiore dell’80 per cento a quello tedesco e del 70 per cento a quello olandese. Ma non basta: «La crescita dei prezzi nel periodo 2006-2010 – ha detto Pitruzzella – è stata quasi il doppio di quella della zona euro e quasi il triplo di quella registrata in Francia». Il tasso di incremento medio annuo è stato del 3,2 per cento, contro una media Ue delll’1,2. Il punto è che i prezzi impazziti non riguardano soltanto il periodo più recente. Tra il 2000 e il 2010, secondo i dati raccolti dalla stessa Autorità garante del mercato e della concorrenza, in Italia l’assicurazione per i mezzi di trasporto è cresciuta del 4,6 per cento medio annuo, contro una media Ue pari al 2,1 per cento. Per non parlare della Francia (+0,9 per cento medio annuo) e della Germania (+0,7). E, volendo andare ancora più indietro nel tempo, tra il 1994 – anno della “liberalizzazione” che ha fatto passare l’Rc auto da un regime di prezzi amministrati a uno appunto libero – al 2001, la tariffa media per assicurare l’auto è raddoppiata, con un incremento medio annuo del 15 per cento circa. Anche qui i calcoli sono dell’Antitrust, che cominciò fin dall’inizio del secolo, quando presidente era Giuseppe Tesauro, a vagliare le anomalie del mercato italiano. A quasi vent’anni dalla liberalizzazione nulla è cambiato. Nonostante i vari richiami dell’Antitrust, i tanti rimproveri dell’Isvap (l’istituto di vigilanza da poco trasformatosi in Ivass sotto la guida del direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi), una riforma prima avversata e poi mal digerita dalle compagnie e più lenzuolate di liberalizzazioni di Bersani, siamo tornati al punto di partenza come in un eterno Gioco dell’Oca assicurativa. I prezzi continuano la loro marcia inarrestabile contribuendo a svuotare le tasche degli italiani in un momento in cui la crisi fa perdere posti di lavoro e riduce il reddito disponibile. La Federconsumatori ha elaborato dei dati che riguardano il costo medio dell’Rc auto in rapporto al reddito annuo. In Italia si arriva al 6,5 per cento – poco meno di uno stipendio mensile! – mentre in Gran Bretagna questo rapporto è fermo al 2,2 per cento, in Germania al 2,8 e in Francia al 2,9. L’escalation dei prezzi in un periodo ventennale, già enorme per la generalità degli automobilisti, può toccare punte fantastiche se si entra nei singoli profili di assicurato. Grazie alla liberalizzazione, infatti, le compagnie hanno potuto creare una tariffa per gruppi omogenei e talvolta per ogni singolo individuo (“personalizzazione”), secondo parametri che derivano soltanto dalle loro statistiche aziendali e non da meno fallaci dati generali. Ma non di rado le stesse imprese usano la leva del prezzo per evitare di assicurare un veicolo, a dispetto dell’obbligatorietà per legge della copertura: come denunciato spesso dalle associazioni dei consumatori, soprattutto nel Sud può capitare di vedersi chiedere migliaia di euro per assicurare un motorino. “Più del costo stesso del ciclomotore”, come denunciò in passato una sbigottita Antitrust. Anche di recente la raffica di rincari ha colpito in modo particolare alcune categorie. Ad esempio, per un neopatentato con una vettura di piccola cilindrata – denuncia Pitruzzella – tra il 2007 e il 2010 l’aumento medio è stato del 20 per cento all’anno! A meno che i neopatentati non abbiano improvvisamente deciso di giocare all’autoscontro in città invece che al Luna Park è difficile che i numeri supportino questi rialzi delle tariffe. Incomprensibile anche l’aumento del 16 per cento all’anno per un tranquillo quarantenne con una vettura di media cilindrata. E che dire di un povero pensionato con un’auto piccola, che ha dovuto sopportare una crescita dell’Rc auto del 9-12 per cento all’anno? Il bello è che, nonostante tutti questi continui e stratosferici rialzi, molte compagnie non hanno ancora raggiunto un equilibrio economico. Di solito sono le più piccole e marginali, mentre le più grandi sanno bene come maneggiare i costi, perché questo è il punto. L’indicatore più importante, il “combined ratio” (il rapporto fra costi e premi) mostra che l’intero mercato, fino al 2009, stava sopra la fatidica soglia del 100 per cento. Ma, appunto, tutte le compagnie più grandi stanno abbondantemente sotto, mentre ad esempio la tedesca Allianz proprio in Italia riesce a guadagnare sui rami danni più che in ogni altra parte d’Europa dopo la Germania. Se infatti ai prezzi alti fa da contraltare un severo controllo dei costi – e Allianz ha usato negli ultimi anni la scure – il gioco è fatto e l’Italia diventa un Eldorado per le assicurazioni. A patto di sapersi districare in mezzo a un mare di situazioni pericolose, che per anni hanno tenuto lontani molti player stranieri. A cominciare dalle truffe. In Italia – è la difesa che per anni l’Ania, l’Associazione delle imprese assicurative, ha tenuto – la malavita organizzata è più forte che altrove e l’importo medio dei risarcimenti, più alto nel Sud, starebbe a dimostrarlo. Peccato che i dati generali dicano l’esatto opposto: «Le frodi accertate ai danni delle compagnie in Italia – ha detto Pitruzzella – sono quattro volte inferiori a quelle registrate dalle compagnie del Regno Unito e alla metà della Francia». Ma per una volta l’Ania non ha torto. Il problema è infatti l’accertamento di queste frodi, e quelle italiane ci sono ma non risultano. Sono anni che si parla di creare un grande Banca dati accentrata per contrastare la criminalità. All’Ania dicono ora che l’iter è quasi completato e che dovrebbe essere del tutto operativa a breve. Ma le promesse degli assicuratori sono quasi promesse da marinaio, a giudicare dai risultati ventennali. E dire che ci sono molti fattori che giocherebbero a favore di una riduzione dei premi. Ad esempio, la frequenza dei sinistri ha avuto un trend discendente negli ultimi anni e dal 7,92 per cento del 2008 è passata al 5,85 del 2012. Una certa riduzione dei costi “naturale” c’è dunque stata. Ma la compagnie non hanno voluto approfittarne lavorando di più su questa voce. Il perché è presto spiegato. In fondo, al di là di un certo limite, le compagnie non sono incentivate a ridurre i costi, visto
che possono così facilmente riversarli sugli assicurati. Dice Pitruzzella: «Sono insufficienti i meccanismi adottati dalle compagnie per migliorare l’efficienza produttiva e contenere i costi, che vengono poi ribaltati sui consumatori ». Su Internet si riescono a mettere a confronto le tariffe ma è una cosa che riguarda soltanto il 5% degli assicurati Sul web si trova, secondo l’Antitrust, un’“estrema variabilità” di prezzi, giustificata a volte solamente dalle diverse politiche commerciali.